Biografia

JOYCE LUSSU : UNA DONNA NELLA STORIA

Joyce Lussu nasce come Gioconda Salvadori a Firenze, l’8 maggio 1912, da genitori marchigiani, entrambi con ascendenze inglesi.

Il padre,Guglielmo Salvadori, docente universitario e primo traduttore del filosofo Herbert Spencer, malmenato e più volte minacciato dalle camicie nere, fu costretto all’esilio in Svizzera nel 1924, e con lui la moglie Giacinta, i due figli maggiori Max e Gladys, e la piccola Joyce.

Joyce vivrà così all’estero gli anni dell’adolescenza, in collegi ed ambienti cosmopoliti, maturando un’educazione non formale, ispirata agli interessi della famiglia per la cultura, l’impegno politico e la propensione alla curiosità, al dialogo, ai rapporti sociali.

Con i fratelli, comunque, ufficializzerà questo originale percorso conoscitivo, ottenendo la licenza di Liceo Classico con esami da privatista nelle Marche, tra Macerata e Fermo.

Ad Heidelberg, mentre segue le lezioni del filosofo Karl Jaspers, vede nascere, con allarmata e critica vigilanza, i primi sintomi del nazismo.

Si sposta, quindi, in Francia e in Portogallo, e si licenzia in Lettere alla Sorbona di Parigi e in Filologia a Lisbona.

Tra il 1933 e il 1938 è in più zone dell’Africa; l’interesse partecipe per la natura e per lo sfruttamento colonialistico di genti e paesi, resteranno, da adesso in avanti, motivazioni fortemente legate alla sua scrittura ed alla sua vita in genere.

I primi testi poetici significativi si possono collocare in questo periodo, e di “Liriche” (1939 ed. R.Ricciardi) sarà curatore eccellente Benedetto Croce, affascinato anche dalla carica vitale della giovanissima scrittrice.

In una sua recensione su “La Critica” (fasc. 2^, 1939), ne evidenzierà la laica capacità di rapportarsi con coraggio al dolore del vivere, e la forza dei paesaggi e delle scene che ” si sono fatte interne, si sono fuse con la sua anima”.

Intanto il tempo della Storia incalza.

Insieme al fratello Max, Joyce entra a far parte del movimento “Giustizia e Libertà” e nel 1938 incontra Emilio Lussu – mister Mill, per gli organizzatori della resistenza in esilio, compagno e marito da ora in poi fino alla sua morte – e con lui vive la drammatica e spericolata vicenda della clandestinità, nella lotta antifascista.

La Francia occupata dai nazisti, la Spagna, il Portogallo, la Svizzera, l’Inghilterra, saranno il teatro di rischiose missioni, passaggi oltre confine, falsificazioni di documenti, corsi di guerriglia………

Raggiunto, in questa militanza nelle formazioni di G.L., il grado di Capitano, nel dopoguerra verrà decorata di medaglia d’argento al valor militare.

In “Fronti e Frontiere” – 1946 – lei stessa racconterà, in forma autobiografica, le dure e al tempo stesso avventurose esperienze di questo periodo: sarà un libro di grande successo.

A liberazione avvenuta, vive da protagonista i primi passi della Repubblica Italiana ed il percorso del Partito D’Azione, fino al suo scioglimento.

Promotrice dell’Unione Donne Italiane, milita per qualche tempo nel PSI e nel 1948 fa parte della direzione nazionale del partito; preferirà, tuttavia, tornare ad occuparsi di attività culturali e politiche autonome, insofferente di vincoli e condizionamenti d’apparato.

Dal 1958 al 1960, continuando a battersi nel segno del rinnovamento dei valori libertari dell’antifascismo, sposterà il suo orizzonte di riferimento nella direzione delle lotte contro l’imperialismo.

Sono gli anni dei viaggi con organizzazioni internazionali della pace, con movimenti di liberazione anticolonialistici; e per conoscere le situazioni storico-culturali del “diverso”, si occuperà della poesia lontana ed, in un certo senso, estranea all’antica cultura dell’Occidente, quella degli “altri”, dalla quale era fortemente attratta perché la sentiva strumento unico, rapido ed efficace di conoscenza.

Traduce, quindi, da poeti viventi, alternativi, non letterati, spesso provenienti dalla cultura orale: albanesi, curdi, vietnamiti, dell’Angola, del Mozambico, afroamericani, eschimesi, aborigeni australiani…..

Fu una splendida avventura, umana e letteraria, in cui la comunicazione derivò non dalla conoscenza filologica di grammatiche e sintassi, quasi sempre inesistenti, ma dal rapporto diretto poeta con poeta, dalle lingue di mediazione, dai gesti, dai suoni, dal dolore cupo di sofferenze antiche ed ingiuste….

La sua traduzione delle poesie del turco Nazim Hikmet – a tutt’oggi tra le più lette in Italia – è un esempio eccellente per tutte.

Fu così naturale partecipare attivamente alle mobilitazioni in favore di perseguitati politici, quali l’angolano Agostinho Neto ed Hikmet, appunto, tanto per fare alcuni nomi.

Proprio attraverso quest’ultimo verrà a conoscenza del problema curdo, “un popolo costretto a vivere da straniero nel suo territorio “, come scriverà in “Portrait” (1988, Transeuropa).

E in un viaggio epico, dopo essere passata spavaldamente indenne attraverso le pastoie della burocrazia irakena, ed aver ottenuto dal Presidente, generale Aref in persona, un lasciapassare, raggiunse il Kurdistan e conobbe il valoroso popolo che lo abitava e i suoi eroi di allora: Jalal Talabani con i mitici guerrieri peshmargà, ed il Mollah Rosso Mustafà Barzani.

Era la metà degli anni Sessanta e da allora la causa del popolo curdo divenne la causa di Joyce, che la portò nel mondo e, soprattutto, nelle scuole.

Dall’esperienza terzomondista derivò, così, dagli anni Settanta in poi, l’impegno alla riscoperta e valorizzazione dell’”altra storia”: quella delle sibille e delle streghe, dei movimenti pacifisti, delle tradizioni locali devastate dalla globalizzazione, dando vita a molti progetti frutto della sua visione critica del divenire e delle sue intuizioni profetiche, che il tempo e gli studi avrebbero verificato esatte ed eccezionalmente attuali.

Dedicherà una parte fondamentale della sua straordinaria carica vitale al rapporto con i giovani, nell’ipotesi di un futuro di pace, da costruire con impegno sistematico e conoscenze adeguate del passato, degli errori, delle violenze e delle ingiustizie che non dovevano ripetersi.

Se conserverà, allora, una certa diffidenza nei confronti delle istituzioni e delle persone che le rappresentano, riporrà però massima fiducia ed apertura verso le nuove generazioni; per questo fino alla primavera del 1998 ha occupato una parte notevole del suo tempo in scuole di ogni ordine e grado, animando incontri che incrociavano percorsi di storia, poesia, autobiografia, progettualità sociale.

E’ morta a Roma il 4 novembre 1998, all’età di 86 anni.